giovedì 23 maggio 2013

Prendendo spunto dal web, un bel video su cui fare quattro considerazioni

Navigando su youtube, mi sono imbattuto in questo video, caricato nel marzo del 2009. Dura solo 3.41 secondi, credo valga la pena vederlo e ascoltarlo.


Dunque.

Premetto che ho immenso rispetto, e non sono affatto ironico, nei confronti di chi si sbatte per qualcosa mettendoci la faccia, come hanno fatto tutti questi ragazzi, molti dei quali conosco pure sebbene solo di vista o poco più.
Mi permetto di sorridere di fronte alla candida ingenuità di molti di loro, nati grossomodo tra l'86 e il '90, intenti a commentare i cambiamenti della società-movida saluzzese, non fosse altro che certi confronti andrebbero fatti quantomeno su scala decennale, e non penso che la maggior parte degli intervistati possa permettersi, anagraficamente parlando, di commentare seppur indirettamente la Saluzzo dei primi ‘2000 degli anni '90, '80, '70 et via dicendo.
Io, nato in un sabato di dicembre post natalizio del 1980 (la vigilia di Torino-Bologna), posso immaginare quella che è stata la Saluzzo notturna degli anni '80 e primi '90, ma purtroppo non avendola vissuta in prima persona perché neonato o poco più che lattante, non posso far altro che appoggiarmi ai racconti di chi si ricorda come andavano le cose ai tempi.
Ho sempre avuto molta curiosità nei confronti di ciò che mi veniva raccontato dai più vecchi di me, talora romanzando sia per eccesso che per difetto. Penso alla “movida del Noch Noch”, il tappeto di siringhe alla Rosa Bianca o quello che era andare a fare gli sbruffoni nella San Martino dei secondi 70.
Approfondendo spontaneamente la Saluzzo che fu, scopro come le nostre quattro vie possano vantare una delle prime birrerie con l'insegna al neon installata in provincia di Cuneo, parlo dei primi anni dello scorso secolo, non prima della pedonalizzazione di Corso Italia; negli anni '40 Saluzzo era la capitale cuneese della Trippa e del Vino, ma si andava nelle osterie per mangiare e bere, non nei “Pub” a consumare i “cocktail” o a chattare tra un sorso di vino e un computer portatile. In prossimità dell'ultima fermata cittadina del tramvai, quando a Saluzzo ci si spostava in bici e le macchine erano il mezzo dei ricchi, ci si poteva bere un gotu di barbera alla Gambrinus, ma li ci si andava soprattutto perchè c'era il campo da bocce e il pergolato dove i nostri bisnonni baccagliavano le nostre bisnonne, e la gente si spostava perchè quello era un posto all'avanguardia, e in secondo luogo perchè un quartino di vino non pesava sui portafogli vuoti delle famiglie all'indomani della Seconda Guerra Mondiale.
Potrei andare oltre con gli esempi, ma questo era per sottolineare come le cose cambiano, il tempo, ahinoi, passa per tutti, usi costumi e abitudini comprese.
Citando l’esempio del venerdì sera, preso ad esempio più volte nelle domande del filmato, resto dell’idea he la gente al venerdì non esca più come qualche anno fa, non perché a Saluzzo manchi qualcosa, ma perché con 1000 euro scarsi di stipendio ci si paga solamente più l'affitto, la rata della macchina [che a Saluzzo non è proprio una cosa inutile da parcheggiare, specie se immatricolata di recente] e se avanza qualcosa magari si mangia anche.
La Saluzzo degli anni 2000 è diversa, migliore o peggiore non sta a me dirlo, ma diversa come è diverso il mondo che sta cambiando giorno dopo giorno; non sarà di certo Saluzzo con il night-club in centro o la discoteca al posto del chiostro di San Bernardino a cambiare le cose.
Ma poi, facciamo anche dei distinguo.
Vogliamo creare una Saluzzo che attiri la gente da fuori che vada oltre alla notte bianca, il programma del Ratatoj, la Saluzzo estiva, gli appuntamenti culturali?
Benissimo.
Scegliamo che tipo di gente, poniamoci degli obbiettivi, magari tralasciando da parte le pietre di Luserna nei nostri proclami.
A pensarci bene, il turista che in quella che per 1/16768 è anche la mia città, arriva, visita, consuma nei bar, si fa la pizza, e poi saluta senza sporcare c'era prima come c'è ora, anzi, mi pare di aver letto in qualche posto che i turisti siano aumentati.
Se vogliamo che Saluzzo si animi di gente pronta a ballare Joe T Vannelli davanti al duomo mentre scarica la suoneria di Gigi d'Agostino bevendo un cocktail che poi vomiterà dentro la sacrestia di San Giovanni pulendosi la bocca con l'ingresso omaggio dello Shock, e mi consuma irrispettosamente la mia percentuale virtuale di Saluzzo, scusate, ma preferisco di no.

giovedì 16 maggio 2013

Solito posto, solita ora, ok?

Oh, allora domani solita ora? 
“Certo”
Non possiamo fare mezz’ora prima?
“Per me va bene, solo che gli altri arrivano alle due”
Evabé, dai, cominciamo ad andare noi.
“Davanti al cancello?”
Perfetto a dopo.

Minchia che caldo!
“Non cominciamo con le scuse eh?”
Ma va va, è che il massimo dello sforzo non posso farlo subito, con sto caldo!”
“Cos’è, non sei più capace a scavalcare?”
Pirla, certo che son capace, ho 32 anni mica 90!
“Ahahaha! Sbrigati va, che sembriamo due ladri”
Oooooooop-là! Fatto! Passami lo zaino!
“Tié, aspettami che scavalco anch’io!”

Che figata, ma ti ricordi quanto ci siamo stati qui? Ne è passato di tempo eh!
“Ti ricordo solo che tu eri soprannominato il bastardo! Anzi, già che ci sono te lo dico subito.. sei proprio un bastardo!”
Ehehehe..

Oh, ecco gli altri che arrivano.
Uno, due, tre…
..sei, sette.
“Perfetto!”

Come perfetto, siamo in due, più sette fa nove, ignorante!
“Azz, hai ragione. Aspetta chi manca?”
Nessuno, è laggiù al fondo della via il decimo!
“Che figata, che emozione”

[Passano alcuni minuti]

Ué vecchietti, ce la fate ancora a scavalcare? Noi siamo venuti mezz’ora prima per non far vedere quanto siamo impediti!
“Allora, giusto per evitare di perdere tempo, voi cinque di là, noi cinque di qua. Se poi non va bene cambiamo ok?”
Sì sì va bene, non rompere le balle, tacùma mac!
Ehm.. ragazzi, c’è qualcosa che non quadra.

Cos’è sta roba?



Cazzo ma c'è un parcheggio!
"Dove son finite le porte?"

Infinita tristezza.

Paralleli: Piazza Denina 1920 - 2013



Certi scorci cambiano così tanto che stenti a credere a ciò che vedi.
E vedevi.

lunedì 13 maggio 2013

Sapete cos'è questo?


Vi siete mai chiesti a cosa serva questo ponte sul Rio Torto? Siamo nei pressi della Posta, e questa passerella, apparentemente inutile, collega le due sponde. Vi dò un aiuto: non si tratta di un'opera di urbanizzazione legata all'edificazione delle Corti, il complesso sorto una decina d'anni fa visibile sullo sfondo in foto.
Per capire meglio basta fare un salto poche centinaia di metri da questo luogo, in piazza Cavour; a pochi passi dal Cinema vi è un'edificio assai simile alla stazione del(l'ex) treno cittadino, con tanto di orologio.

Un tempo sede delle poste, le sue fattezze sono tali perché un tempo, proprio quella, era una delle fermate di un treno.

Ma non si trattava di un treno qualunque, era un treno decisamente particolare.




Si narra infatti, in un tempo lontano, di una locomotiva che percorreva una tratta che da Saluzzo conduceva sino a Paesana da una vallata, e sin quasi a Sampeyre dall'altra. In qualche reperto storico si accenna ad un collegamento che in Val Varaita proseguiva sino a Pontechianale, ma in merito a questo non ho mai capito se si trattasse di un progetto o se tale linea proseguisse per davvero sin lassù.

Di certo c'è che tra le varie osterie, bar e locande, la nostra meravigliosa città vantava anche il famoso (ai tempi), “Bar del Tramvai”, posto in un edificio, oggi abbattuto per lasciar spazio ad un palazzo [il Palazzo di Cristallo, in Piazza XX Settembre, suppergiù].
Oltre alla moderna ferrovia, infatti, Saluzzo vantava anche una linea apposita per i tram, con le rotaie più sottili per intenderci.


Il Bar del Tramvai con relativa stazione - Foto presa dal sito www.museodeltram.it

La tratta Saluzzo-Sampeyre-Saluzzo-Paesana-Saluzzo era percorribile impegnando praticamente una giornata intera. Siamo pur sempre negli anni a cavallo della Prima Guerra Mondiale, gli spostamenti erano ancora antidiluviani, se rapportati ad oggi.
Non durò molto,
un po' per i costi elevati della tratta, un pò per motivi logistici. Di certo c'è che nei racconti, forse un tantino romanzati appresi su tale tratta, vi è quello, curiosissimo, legato all'ultimo pezzo sù in alta Val Varaita.


La stazione del Tramvai a Paesana - Foto presa dal sito www.museodeltram.it

Pare infatti che le locomotive, nei tratti più in pendenza, faticassero a salire, costringendo i passeggeri in alcuni punti a scendere dal tram e andare a piedi.Già, ma qui si parlava di una specie di ponte sul Rio Torto.

Ebbene,
se fino a una ventina d'anni fa, là dove oggi c'è il self-service "Il Ventaglio", in piazza XX Settembre, nel bel mezzo del marciapiede si intravedevano ancora in più punti le rotaie e le traversine di questa tratta, poi rimosse credo per motivi di sicurezza. 

Ecco che quel ponte assume oggi una valenza del tutto particolare.

Spariti questi reperti, sparito il Bar del Tramvai,
ecco che l'ultima traccia rimasta di ciò che un tempo collegava le due valli è rappresentata proprio da quel ponte.
Quando mi capita di passarvi sopra, mi fermo sempre a fantasticare un pò.
A volte mi capita anche di percepire nelle narici l'odore del carbone.
A volte.

mercoledì 8 maggio 2013

Tutto cambia, non cambia niente. Cronache saluzzesi d'inizio 900


Qualche anno fa, credo fosse il 1996, mi trovavo in una delle viuzze della città vecchia quando il bisogno impellente di pisciare mi colse in affanno.
Mentre sul muro menzionavo con la minzione le mie iniziali, venni colto sul fatto (e sul/col fallo) in fragranza dal padrone di casa.
“Perché non pisci sul muro di casa tua? Porcaccione!” - Ma io abito qui e piscio sul muro quando voglio, piuttosto, cosa fa lei in casa mia? Risposi.
Lui, spiazzato dalla risposta, prima rimase senza parole poi mi congedò con una risata.
Il trionfo del buon senso, lui non chiamò i vigili, io evitai la multa e i due ceffoni dei miei (con prevalenza del terrore per i ceffoni sulla multa).

L’argomento è sicuramente d’attualità visto il periodico discutere sull'inciviltà, o presunta tale, della così detta movida, antipatico termine, questo, che odio in maniera sconsiderata sin dalla prima volta che l'ho udito.
Un problema centennale, questo, con i giovani a urlare fuori dai locali dove solitamente si beve, i famosi punti di aggregazione, roba a rischio estinzione visto il dilagare di social néttuorc, telefonini e droghe elettroniche varie, atte a isolare con la tecnologia il rapporto vis-à-vis.
Per chi non lo sapesse già nel 1908, là dove oggi si trova il Bar Dublino, quando la domenica sera vi si tenevano i concerti di violino, i ragazzi dell’epoca, al quinto quartino di vino, si adoperavano nel canto da osteria rovinando il riposo degli abitanti del circondario.

L'attuale Bar Dublino, in Corso Italia.

Successivamente, paonazzi nel viso, spesso pisciavano nella ruera di centro strada, quella un tempo utilizzata per il defluvio delle acque piovane e per meglio smaltire gli escrementi dei cavalli.
Al di sopra del bar vi abitava un ricco signore dell’alta borghesia saluzzese, tale Onorevole Marco per il quale non è dato sapere se il titolo Onorevole fosse un qualcosa di universalmente riconosciuto né se Marco fosse il suo nome o cognome.
Tale onorevole, stufo delle esibizione canore dei ciucchi sotto casa, anziché postare su féisbuc le proprie foto in pose da tronista, organizzò un torneo di calcio con il fine “..di allontanare dalle hostarie i giovani per avvicinarli allo sport”.

Parole, queste, che potete controllare sul settimanale “Sale e luce” (l’antenato del Corriere di Saluzzo, attuale nome della società editrice dello stesso Corriere) della settimana precedente al 30 ottobre 1910. Con una semplice visita alla biblioteca comunale, in un attimo è possibile tornare indietro di oltre cento anni.

Fu così che tra il 1909 e il 1911 si istituì il “Trofeo Coppa Città di Saluzzo”, torneo dal sapore amatoriale che di amatoriale aveva ben poco vista la caratura delle squadre invitate, tra le quali il Torino e la Vigor di Torino, due tra le squadre più in voga dell’epoca, oltre alla Juventus, società in voga sia all’epoca che all’EPOca.
In realtà il torneo fu una rivisitazione di ciò che avvenne già nel territorio comunale nel biennio 1901 - 1902, quando davanti a un'imponente cornice di pubblico, nel prato di Piazza d'Armi, si svolsero le due edizioni della Coppa del Municipio. Si trattava di una delle manifestazioni inserite nel settembre saluzzese, e sarebbe bello che un giorno si tornasse a fare qualcosa di simile..
Fu un notevole successo sia per la città che per i nobili valori da cui era mossa, che permise alla squadra cittadina di far conoscere le proprie gesta anche al di fuori del territorio comunale.
Per inciso, nel 1901 e 1902 non si chiamava ancora Saluzzo Calcio come lo conosciamo oggi, ma quella che di fatto era una selezione di studenti del Liceo comunale era conosciuta come Unione Ginnico Sportiva Jolanda Margherita, dall'omonimo Liceo, appunto.
Divenne Saluzzo solo nel 1937, dopo aver passato un periodo, tra il 1912 e il 1937, in cui la denominazione sociale era curiosamente Società Sportiva La Saluzzo. Perché tutto partì dalle scuole, settore su cui la politica promette sempre rilanci salvo poi tagliare con la scure, ma sono ben lungi, ora, dall'imbarcarmi in questo genere di discorsi.
In merito alle cinque edizioni (1901, 1902, 1909, 1910 e 1911) disputate sarò più esaustivo prossimamente in un altro post, promesso.

Tornando all'argomento, anche negli anni 30 non è che le cose fossero molto diverse. Lo sport era parte integrante dei deliri fascisti, ma i giovani son sempre stati quelli. Due belle caraffe di vino all’osteria e una bella scopata erano il massimo del divertimento degli alpini, e non solo, in libera uscita. Magari si faceva tutto un po’ più di nascosto, ma si faceva. E le case “di tolleranza” non mancavano, ne ho ritrovate almeno quattro nelle mie ricerche puttanesco alcooliche sulla Saluzzo che fu.
Cambiano i vestiti, le abitudini, i nomi dei locali, i linguaggi, ma nella sostanza tutto rimane inalterato.
E tutto sommato la cosa non mi dispiace.

martedì 7 maggio 2013

La Saluzzo che verrà: Il Trafotto del Monviso


Sono dell'idea che in questo blog non si debba per forza escludere la Saluzzo che verrà, i suoi cambiamenti, i progetti che la riguardano, il suo sviluppo futuro. Siamo in anni in cui il cemento la fa da padrone, non sempre nella maniera in cui vorrei, ma fa lo stesso.
Facciamo un esperimento?
Proviamo a immaginare.
Facciamo finta che io in questo momento mi trovi a Casa Cavassa, forse il Palazzo più importante di Saluzzo. Sto tranquillamente aspettando il turno guidato della mia visita, quando...



Saluzzo, otterdici dicebbraio duemillemilaquattroventi.
Toc toc!
Sì, chi è?
Ciao, qui abbiam deciso che si fa questo: buttiamo giù quello, foriamo quell'altro, asfaltiamo li e costruiamo lì
(L’UE ci riempie di soldi e un po’ di cresta salta sempre fuori. Questo, però, non lo diciamo troppo forte)”
Già, ma se agli abitanti del luogo non sta bene?
E a noi cazzo ce ne frega? Si fa lo stesso”.
La democrazia (del manganello, o sfollagentocrazia) e i dibattiti faranno il resto.
Gli aggettivi degli uomini del potere sono sempre gli stessi: Equilibrio, dialogo, democrazia, terapia tapioca come se fosse un traforo in Val di Susa, oltre alla scontata “indignazione per i fatti violenti” o più comunemente per la violenza in senso lato, chiaramente mai quella che fanno loro estirpando qua e là..
Insomma, partono i lavori.

Risultato? La gente si incazza, poi a seconda del luogo, problema, tipo di rivolta, i media (cioè il potere) individuano il nemico e il gioco è fatto.

Una volta sono i black-block, l’altra i comunisti, poi i fantomatici “nemici del progresso”, quindi i fannulloni, i froci, i “terroni” di Chiaiano perché non vogliono l’inceneritore, di Napoli perché non fanno la differenziata, prima ancora gli ingrati de L'Aquila che hanno il coraggio di protestare dopo tutto quello che il Super Bertol-asu (piemontesismo) ha fatto per loro.

Chiaramente il popolo bue si adegua, perchè, “..minchia, l'han detto al telegiornale”.

O almeno fin quando non tocca a loro.
Amici saluzzesi, non so voi, ma non vedo l’ora che qualcuno progetti il trafotto sul Monviso, con un bel TGV Merci (che sta per merci, non mercì alla francese eh) che ci porterà in Francia, in dodici minuti, con stazione al posto di Casa Cavassa.
Che bello, non vedo l'ora!


Nella foto presa da wikipedia, Casa Cavassa, punto di partenza per il treno che ci collegherà alla Francia. Al posto dell'attuale portone d'ingresso vi saranno i binari del treno, mentre la sala d'attesa sarà inserita là dove oggi possiamo ammirare la Pala di Hans Klemer, sopra la quale verrà posto il tabellone delle partenze.

lunedì 6 maggio 2013

domenica 5 maggio 2013

Saluzzo scomparsa: Il giallo scuro e il giallo sbiadito


È un’architettura strana a vedersi, perché subito non ne capisci l’utilità perché il primo impatto che si ha è quello di vedere alcuni ruderi fuori posto.

Sino a qualche anno fa dei grossi cartelloni pubblicitari ne coprivano gran parte, e la distrazione era agevolata da tale copertura, fin quando vennero rimossi per lasciar spazio a ciò che vediamo oggi.

Sei finestre con grate, in corrispondenza di altrettante aperture. Un grosso blocco, quasi monolitico, in pietra e una sagoma simile a quella di una casa visibile dal contrasto tra due gialli, uno più sbiadito dell’altro. Arrivando in piazza XX settembre da Via Torino, sulla sinistra si può vedere quest’insieme di stranezze, per le quali spesso mi capita di pensare a quante persone, come me, le hanno notate.

La curiosità è come la benzina, alimenta quotidianamente il mio amore per Saluzzo, anche per quegli aspetti che paiono marginali, come una facciata bizzarra.


Non molto tempo fa ho avuto il piacere di passare alcuni pomeriggi nel circolo anziani cittadino: era mia intenzione farmi raccontare qualche aneddoto di vita (saluzzese) di un’altra epoca, di quelle raccontate dai miei “amici” con gli occhi lucidi, con tanta malinconia per la bella età ormai svanita. 

Rimasi piacevolmente stupito dalla vitalità dei loro racconti, specie quando i gli stessi, durante i primi aneddoti raccontati, erano quelli legati alla vita più mondana.
Cominciò una lunga serie di testimonianze legate ad episodi più o meno raccontabili riguardanti le svariate case chiuse presenti ai tempi in città; siamo ancora in anni in cui la Legge Merlin non era ancora stata partorita, e certi “vissuti” erano più o meno la normalità.

Ciò che mi colpì fu la miriade di aneddoti che mettevano in relazione le case chiuse con gli alpini di leva in città, che a quanto pare erano attivissimi durante le libere uscite.

Mentre il mio pensiero si legava alla caserma Mario Musso, ecco la notizia che non mi aspetto.
Uscivano dalla Vittorio Veneto e andavano proprio lì dietro, dove oggi c’è quel negozio; poi, se qualcosa non andava nel verso giusto, vi era un’uscita secondaria dalla quale scappare in pieno anonimato”. 

Quando credo di aver intuito che l’attuale Mario Musso, dismessa nel 1991, precedentemente si intitolava Vittorio Veneto, vengo a scoprire che l’attuale Piazza XX Settembre, sino al 1962, aveva dei connotati ben diversi. Vi era infatti la vecchia caserma degli alpini, la Vittorio Veneto appunto, che geograficamente combaciava in maniera più strumentale ai racconti uditi sino a quel momento.

Scopro quindi che venne demolita nel maggio del 1962, proseguendo una serie di interventi che nella prima parte di quel decennio stravolsero Saluzzo.

L’edificio era maestoso, occupava circa 3/4 della piazza e vi si poteva accedere dall’attuale Via Torino, come ricostruibile visivamente da questa meravigliosa cartolina.


Mentre il mondo delle caserme, degli alpini e della vita militare va pian piano ingiallendosi nelle menti dei saluzzesi, ecco che ai nostri occhi, con una semplice mano di giallo differente e la salvaguardia di piccoli parti del vecchio muro perimetrale, si riapre il ricordo di un'epoca comunque unica.
Anche un semplice giallo, solo apparentemente sbiadito, può valere molto.
Droit quoi qu'il soit, Battaglione Saluzzo, e che giallo rimanga per sempre.

Giulio R.


Paralleli: Via Manta Vecchia 2003 - 2012


Era un acquedotto, di cemento, decisamente brutto esteticamente.
Era l'ultima cosa che vedevi prima di entrare in Saluzzo arrivando da Manta, o se preferite, la prima cosa che vedevi, arrivando da Saluzzo, entrando in Manta.
Una di quelle cose che non notavi nemmeno più.
Rivederlo,
nonostante tutto,
mi fa sempre un certo effetto.

venerdì 3 maggio 2013

Bianco, azzurro e non solo.

Bianco e azzurro è lo stemma di Saluzzo. Erano i colori dei Cavassa, il cui motto campeggia nel titolo di questo blog. Sono i colori della città da molti secoli e continueranno ad esserlo per molti altri.
Mi verrebbe da dire bianco come la neve del Monviso e azzurro come il cielo, nel più classico dei contrasti fotografici visibile in tutte quelle foto, ormai inflazionate, che si possono trovare su Saluzzo, ma si tratta di una licenza poetica personale priva di ogni fondamento.



Anche perché qui, alle pendici delle Alpi, il sole non è la prerogativa principale, anzi.
Oggi è il 3 maggio, non piove ma minaccia di farlo, il cielo non è né bianco né azzurro.
Sono giorni che va avanti così.
Domani forse pioverà, forse no, le previsioni sono ancora incerte.
Piove quasi sempre il 4 Maggio, da 64 anni a questa parte; spesso c'è la nebbia a ricordarci che la primavera alle nostre latitudini è fatta un po' diversa da come ce la immaginiamo.
Il 4 Maggio non è per me un giorno qualunque, non lo è per molti, non lo è da 64 anni a questa parte per l'Italia intera, a partire da quella devastata dell'animo e nel portafoglio dalla Seconda Guerra Mondiale.
Era un'Italia che riusciva a sorridere per poche cose, quella del secondo dopoguerra.
Una di queste sparì, in un attimo, nella nebbia prima e nel cuore della gente poi, per sempre.
La Memoria è un qualcosa di bizzarro, con molte componenti soggettive.
In provincia accadono cose strane,
cose che in realtà appaiono strane agli occhi di chi certi avvenimenti li ha vissuti in prima persona e non ha il coraggio, o la volontà, di ricordarli come dovrebbe.
In provincia accadono cose normali,
che rinsaldano la memoria e hanno il potere di mantenerla viva, il dovere di mantenerla viva.
Qualche anno fa a Saluzzo è stata inaugurata Via Grande Torino, un omaggio doveroso da parte di questa città i cui colori del calcio son cambiati ancor prima della toponomastica cittadina. Erano gli anni '50 quando il Saluzzo Calcio scelse di cambiare i propri colori sociali dal bianco e azzurro - ereditati dello stemma marchionale - al granata, in onore del Grande Torino.
Sono orgoglioso di essere un saluzzese anche per questo genere di cose.

In foto l'inaugurazione di Via Grande Torino

Giulio R.

giovedì 2 maggio 2013

Saluzzo scomparsa: Si spengono i riflettori.


Si pranza tutti assieme, la tv è accesa, i discorsi i più disparati.
Stesso cliché da sempre.
Solo che abiti a pochi metri dalla ferrovia e quando passa il treno tutto ciò che è attorno a te viene coperto dal rumore del suo passaggio.

Un rumore forte, inconfondibile, di quelli che non ti spieghi come puoi fare a sopportare.
Diventa un'abitudine, in fondo si tratta di pochi secondi.
Saltuariamente, senza cadenze precise, quel rumore è più forte, ed è diverso. Ti ricorda quello che senti nei film western e lì capisci che sta per succedere.

E' l'evento che ti rallegra la giornata, ti fa sentire bambino per quei pochi attimi, proprio come quando  ti facevi portare da tuo papà nei pressi di una galleria, al mare, a vedere il passaggio del treno. Questo però è un treno d'epoca, il suo rumore è coinvolgente. E' un vero “ciuf-ciuf”, proprio come dicono i bambini.



Tutto si interrompe, tutti si affacciano. Solitamente arriva prima il fumo, un po' bianco, la maggior parte delle volte nero come il carbone. Lo vedi passare e cerchi di contenere la tua gioia, perchè in quel momento hai come la sensazione di essere uno degli abitanti di Borgo due case, frazione di Borgo tre case (mi pare si chiamasse così), il paese immaginario dipinto nel Ragazzo di Campagna di Pozzetto, quello in cui tutti gli abitanti si riuniscono due volte la settimana per vedere il passaggio del treno, commentandolo come se fosse un evento.
Perchè è un evento, anzi “L'Evento”

Semplicità contadina al servizio della commedia italiana, per descrivere un mondo ormai estinto.
Ti viene da pensare che “il treno è sempre il treno, è sempre bello”, ma lo dici a te stesso, sottovoce che più sottovoce non si può.

Poi si torna a tavola, al lavoro, alla quotidianità, fin quando un giorno si spengono le luci.
Totalmente, per tutto il quartiere.
Nessun black-out, si sta girando un film, uno dei tanti girati nella nostra meravigliosa città.




Anche questo è un evento, infatti prendi la tua digitale e scatti una foto per immortalarlo.
Passa qualche anno e la realtà muta. Saluzzo perde (anche) la stazione del treno, maledetta crisi, maledetti tagli. Riscopri quella foto nei meandri del tuo pc e capisci che nulla descrive al meglio ciò che è successo.

Si spengono i riflettori e se ne va un altro pezzettino di storia.
In quel momento riscopri la saggezza contadina e la vedi con un occhio differente.
Avevano ragione loro,
perché il treno è sempre il treno, è sempre bello.

Specie quando non ce l'hai più.

L'Antico Palazzo Comunale e la storia del Duca invitato, evitato ed evirato

Che l’antico palazzo comunale di Saluzzo, specie dopo i recenti lavori di restauro, sia uno dei gioielli architettonici di questa città e del patrimonio del circondario, credo sia superfluo dirlo. Meta ricercata dai turisti e apprezzata anche da quelle persone per le quali l’argomento non suscita particolare interesse.
Fotografato, commentato e oggi finalmente vissuto per svariate iniziative, nel già citato restauro si è materializzata la riapertura del portico, come originariamente era stato progettato.
E’ meraviglioso anche per chi non concorda con la mia partigiana analisi: per questi è a disposizione un wc al suo interno, fruibile dal suddetto portico.


L'Antico Palazzo comunale come appare oggi dopo i restauri

Analizzando meglio la facciata ciò che balza all’occhio immediatamente è un particolare. All’interno di ciò che rimane di uno degli affreschi si intravede una forma conosciuta, come se nel bel mezzo di un dipinto qualcuno – negli anni – avesse sciaguratamente messo una porta.

Particolare della facciata su Salita al Castello.

Cosa potrà mai servire una porta in quella zona della facciata?Un occhio più attento e mediamente più esperto noterà anche la differente pigmentazione delle fascette marcapiano in terracotta.
Durante i miei studi universitari, che videro nell’antico Palazzo Comunale il soggetto della mia tesi, venni a conoscenza di alcune interessanti notizie in merito.

Occorre fare un passo indietro sino al 1601, in occasione della “venuta” (capirete più avanti perché tra virgolette) a Saluzzo del Duca Carlo Emanuele I; per l’occasione venne commissionata al famoso pittore Cesare Arbasia, l’opera di affrescatura della facciata verso salita al castello; era intenzione dei committenti donare alla città, in segno di devozione verso il bel Duca Carlo, qualcosa che ne ricordasse l’evento.


Nell’occasione il bel Duca, in seguito al trattato di Lione, si fregò del titolo di Marchese di Saluzzo, benché esso fosse diventato in quel periodo un qualcosa di più simbolico che di sostanziale importanza.
In un’epoca successiva, sicuramente prima del 1690, parte di questi affreschi, lautamente pagati, vennero distrutti al fine di permettere l’apertura di due porte finestre in concomitanza, così che potesse essere inserito un balcone.
Capirete che questa scelta fu particolarmente bizzarra, non tanto per la porcheria stilistica di un balcone al di sopra di un portico (ai tempi aperto come lo vediamo oggi) dalla dubbia utilità, ma per via della distruzione di parte dell’affresco.
Perché cancellare un qualcosa di lautamente pagato in questa maniera?
Come al solito certe cose saltano fuori molto tempo dopo tra un appunto, un documento segreto e una leggenda pseudo metropolitana venuta a galla e ulteriormente romanzata con il passare degli anni.
Pare che le cose andarono più o meno così.

Intorno all’inizio della seconda metà del ‘600 (diciamo, indicativamente, 1655, purtroppo in quel periodo molti documenti sono andati perduti), in un consiglio comunale particolarmente acceso, venne proposta la cancellazione dell’affresco per non precisati motivi etici.


Questo perché i consiglieri comunali di quel periodo, i cui padri (e soprattutto madri) erano giovani sposini durante il periodo della venuta del Duca a Saluzzo, maturavano la volontà di zittire le dicerie sul conto dei loro (alcuni già defunti) genitori.
Ai tempi la comodità dei trasporti era ben lontana dallo standard attuale, tanto che molti sostenevano, forse malignamente, che il bel Duca avesse trovato in Saluzzo un efficiente relax per potersi riprendere dal lungo viaggio. Relax probabilmente più approfondito di un semplice riposo in stanze di lusso.
Diciamo più lussurioso che lussuoso.


Il Duca evirato: Carlo Emanuele I.

Si spiegherebbe così il perché di quella scelta scellerata architettonicamente e discutibile come modus.
Il dipinto del duca venne abilmente evirato nelle parti nobili del nobile, così da cancellare anche simbolicamente tali dicerie.
Non ho mai voluto approfondire più di tanto questa ipotesi, di cui v’è traccia – e nemmeno troppo velata – negli archivi a disposizione della popolazione.
Certe leggende o presunte tali, è bello lasciarle camminare nel tempo.

mercoledì 1 maggio 2013

Diciotto anni a spasso per Saluzzo


Un sabato mattina, ma ero gagnu avrò avuto 4-5 anni, credo fosse suppergiù il 1985, ricordo di essermi spaventato tantissimo a causa di una mucca che pareva impazzita. Scalpitava in maniera quasi incontrollabile a pochi metri da un abbeveratoio. Eravamo nell'attuale Piazza Buttini, dove ai tempi si teneva il mercato del bestiame. Ve lo ricordate quell'abbeveratoio? Circondava due lati dell'allora “Casa del dazio”.
Lo tirarono giù poche settimane dopo e ne fui felice, così da levare per sempre il legame con la struttura e lo spavento.


La casa del Dazio (sulla sinistra) visibile in questa panoramica di Via Savigliano in una cartolina degli anni '60

In questa piazza, che ho ammirato dal balcone della mia casa natia per più di trent'anni, ricordo i mucchi di neve alti come 2 piani di un palazzo, quelli fatti durante la nevicata del marzo 1986, anno in cui chiusero il Cinema Splendor proprio dove oggi sorge una banca, in Corso Italia, accanto alla statua di Silvio Pellico.

Erano anni in cui andavo a giocare con la mia barchetta telecomandata nella piscinetta (allora funzionante) dell'orribile monumento dinanzi il tribunale, sarà stato l’87, più o meno quando smisero di fare il già citato mercato del Bestiame in via Savigliano. Di quell'estate porto appresso anche il ricordo del'Ape dell'Aimeri che entrava nei cortili a togliere l'immondizia, faceva un casino pazzesco e spesso era la mia sveglia.
Crescendo cominciavo  a girare Saluzzo in maniera un po’ più autonoma, anche se alcuni posti erano ancora off limits. Nell’estate delle notti magiche mi era vietata via Parrà per via del Bar Radio, e gli stessi Porti Scur, per via del Noch Noch chiuso per, diciamo così, la “vivacità” della clientela nell'estate del 1990.
Al massimo mi concedevo una capatina per vedere i lavori di copertura del Rio Torto, tra Via Piave e Corso IV Novembre, ma ad insaputa dei miei.
In quegli anni mi appassionai di musica, senza tuttavia cominciare mai a suonare alcun strumento: credo che la chiusura di Guarini nel 1991 abbia azzerato le mie deboli velleità. Le macchine non mi interessavano granché, però un’occhiata a quelle esposte da Gandino all'incrocio tra Via Savigliano e Corso XXVII aprile, almeno sino al 1991 gliela davo volentieri.
In realtà a me piaceva giocare a pallone e proprio mentre Via S. Pellico smetteva di essere transitabile alle macchine diventando “isola pedonale”, chiudeva i battenti il Willy Burgo: credo che la stagione 1990-1991 sia stata l’ultima disputata in quel glorioso campo.


L'esterno del Glorioso Willy Burgo

Delle scuole medie ho un ricordo legato alla scaramanzia: ricordate le aiuole nella strada che collega Vicentini alla Rosa Bianca, quelle che levarono nel 1992? Una volta rimosse, rimasero per terra i segni perimetrali. Bene, ai tmepi era bello credere che, qualora calpestati questi segni, a scuola avresti preso un brutto vuoto. Per andarci passavo sempre di fronte a Clement (e alla sua meravigliosa Citroen Pallas parcheggiata per 5 anni li di fronte. Credo fosse il 1993 quando la rimosero).
Usciti da scuola massima allerta: il tappeto di siringhe ai giardinetti della Rosa Bianca, perennemente visibile almeno sino al ’93 sparirono, come sparì in quell’anno la Corsa dei Go-Kart in Piazza XX Settembre e le tribune di Via Della Croce, oggi riutilizzate per la giuria di ogni carnevale.
Terminate le medie, anno 1994, passarono due anni prima che l’unificazione dell’Einaudi e Bersezio ponesse fine alla rivalità tra le due scuole: siamo nel 1996, anno di ritrovo dello Stradivari (trovato nel baule di una Mercedes in Corso Roma davanti alla stazione dei treni) e dello spostamento del benzinaio Gaboardi da corso Roma alla statale per Pinerolo.
Nell’estate successiva scompaiono altre due cose: la pista delle macchinine telecomandate davanti a scuola d'arte e il muro di cinta dell'oratorio Don Bosco. E' l'estate del  concerto di Nek alla Mario Musso con il biglietto a 30.000 lire. In quella successiva Via Pignari diventa a senso unico, mentre un senso unico diventa a doppio senso di marcia: l’esperimento del primo tratto di via Bodoni smette al terzo incidente frontale. Sono gli ultimi anni in cui sentiamo l’inconfondibile voce di Edo Ardussi che annunciave le partite di basket al palazzetto di Via della Croce con il suo  “Basket, basket, basket”.

Ma siamo cresciuti nel frattempo, si va nelle birrerie, tipo in rinnovato Montmartre che smette le panche verdi e la decennale forma per l’attuale (1998) non solo per bere, ma anche per comunicare con il preistorico intranet dell'Anita Dimunuta, oggi Baricentro.  Siamo negli ultimi mesi del 1999, in Via Palazzo di Città per un breve periodo c’è anche una sala giochi, ma vatti a ricordare il nome. Con la macchina prendo anche le prime multe, e sorrido oggi a pensare a quella da 5000 lire per non aver preso il tagliandino del parcheggio a pagamento: 5.000 lire, oggi con 2.50 euro a malapena ti paghi due ore di parcheggio, figuriamoci la multa.

All’inizio dell’attuale secolo se ne vanno a ritmi di uno all’anno, tre pezzi di storia, La Pagina (2001), il Bar Felice (2002) e la storica birreria all'incrocio tra Via Savigliano e Corso Roma (2003). Sono gli anni delle apparizioni fugaci ma intense: “Bush” in Corso Piemonte e “l’Etno Gagà” nel 2004, a scapito di altri due pezzettini di storia, uno microscopico ma intenso, ovvero il Donchisciotte (2005), l’altro capostipite per intere generazioni: l’addio del Popsy per far spazio alla grande distribuzione deve aver fatto scendere qualche lacrima a più di una persona. Il resto è storia recente, l'oratorio di Via del Follone se ne va per un grigio parcheggio, del mattatoio c’è traccia solo più nella toponomastica cittadina, infine Corso Italia come lo vediamo oggi.

Il mattatoio poco prima di essere demolito (2010)

Tra qualche anno aggiornerò questo racconto,
come sempre,
con un pizzico di malinconia.

Paralleli: Porta Santa Maria 1984 - 2012


In una delle porte più suggestive della città vecchia, il tempo sembra non scorrere mai

martedì 30 aprile 2013

Saluzzo, Corso XXVII Aprile 1945: “La torretta della libertà”




Il 27 aprile del 1994, tornando a casa, mi fermai all’allora semaforo di Corso Roma. In attesa del verde, mi cadde l’occhio sulla prima pagina de La Stampa, sulla quale campeggiava una storica notizia: “Dopo 350 anni i neri al voto in Sudafrica”. Si trattava di una svolta epocale, dopo anni di apartheid anche i neri riacquistarono il diritto al voto. Da allora il 27 aprile è per il Sudafrica la festa della Libertà. Ne avevamo parlato a scuola, questo lo ricordo con certezza. Al semaforo infatti venni anche incuriosito da un’insolita torretta gialla alla mia sinistra, nel cortile di quell’edificio tra Via Martiri e Corso XXVII aprile; conoscendone il proprietario, ne approfittai e gli chiesi il perché di quell’insolita torretta apparentemente inutile.

Mi raccontò che venne costruita quando l’attuale Corso era solo un prato che lo divideva dal recinto di Villa Aliberti. Si narra che l’allora omonima Contessa lo diede in dono al Comune di Saluzzo, a patto che sullo stesso gli edifici non nascessero alti più di due/tre piani fuori terra, così che all’interno dei suoi possedimenti non potesse essere spiata da chi raggiungeva i piani più alti.


V’è da dire che prima di questo episodio, il suddetto terreno fu oggetto di diatriba tra la nobile famiglia e i vicini, e fors’anche per questo motivo i maligni videro nel regalo della contessa il metodo più efficace per vendicarsi con gli stessi.


Fatta la legge trovato l’inganno: la costruzione di quella torretta, non abitabile e priva di qualsivoglia funzione di controllo, ebbe il solo scopo di poter eludere il regolamento e curiosare liberamente dentro i possedimenti.


Una specie di goliardata, una di quelle che strappa un sorriso.


Venne successivamente costruita la strada, inizialmente stradale per Pinerolo, la stessa che vide Mussolini – il 26 settembre del 1939 – transitare nel suo viaggio propagandistico tra Torino e Cuneo, con tappa anche in quel di Saluzzo per la posa della prima pietra della Casa del Fascio (mai iniziata), là dove oggi sorge il tribunale.


Siamo in pieno ventennio, ovviamente.


Il tempo passa, il rischio è che i racconti si tingano di particolari romanzati, e che la memoria cominci a fare cilecca. In più ci si mette anche la frenesia di questi tempi, in cui tutto cambia velocemente, compresi i semafori, che se ne vanno per dare spazio a rotonde nelle quali non ci si ferma più, perdendo anche l’occasione per buttare l’occhio per ammirare i piccoli particolari, come le inutili torrette di un edificio nel centro di Saluzzo.


Io l’ho ribattezzata “La Torretta della Libertà”: da un lato la libertà della contessa di girare nei propri possedimenti senza essere spiata, dall’altra la libertà di poter spiare grazie a una simpatica scappatoia al piano regolatore.


Ma soprattutto la libertà scritta nel nome di quel Corso, oggi XXVII aprile, giorno in cui, con 48 ore di ritardo, venne liberata la nostra meravigliosa città.